Archivio: le autrici e gli autori del mese

Hao Jingfang 郝景芳 (febbraio 2021)

Ma Jian 马建 (maggio 2021)

Medoruma Shun 目取真俊 (ottobre 2021)

Ogawa Yōko 小川洋子 (dicembre 2020)

Shūichi Yoshida 吉田修一 (aprile 2021)

Yan Lianke 阎连科 (novembre 2020)

Hao Jingfang 郝景芳 (febbraio 2021)

Hao Jingfang郝景芳, nata a Tianjin nel 1983, si è laureata nel 2006 in Fisica all’Università di Tsinghua, dove ha poi conseguito il dottorato in Economia gestionale. Ha iniziato a pubblicare all’età di ventitré anni, dedicandosi fin da subito alla fantascienza, un genere in piena espansione in Cina all’inizio del secolo, ma ancora rivolto a un pubblico di nicchia. Dopo l’exploit di Liu Cixin 刘慈欣con Il problema dei tre corpi (Santi, 2006-2011) vincitore del prestigioso Hugo Award nel 2015, la sua novella più importante e famosa Pechino pieghevole (Beijing zhidie, 2010) ha conseguito lo stesso risultato nel 2016, confermando lo “stato di grazia” della narrativa di fantascienza cinese e il suo decisivo ingresso nell’arena internazionale.

Tra le sue opere più interessanti, oltre alla novella vincitrice dell’Hugo, ricordiamo “I pianeti invisibili” (Kanbujian de xingqiu, 2013) e la trilogia I vagabondaggi di Marterra (Liulang Ma’esi, 2012) tradotta in inglese dal celebre scrittore e traduttore di fantascienza Ken Liu con il titolo Vagabonds.Nel 2016 ha pubblicato Sheng yu yijiubasi (Nata nel 1984).

Ciò che colpisce di questa narratrice è la sua originalità nel mondo letterario cinese di oggi, non si è lasciata sedurre completamente dal fascino e dal successo editoriale derivante da pubblicazioni di genere più marcate e continua a scrivere trasgredendo i confini degli stili e dei generi letterari senza irrigidire la sua scrittura, semplice ma elegante, in modelli fissi. Ispirata dal surrealismo calviniano in I pianeti invisibili (un omaggio all’autore italiano, tradotto in italiano da Martina Codeluppi per la rivista Caratteri, 2015,), ha poi costruito una sorta di Bildungsroman a metà tra l’utopia e la distopia, con la trilogia di Marterra, in cui echi di fantascienza asimoviana si intrecciano con una personale visione del mondo in cui la Cina non è più al centro e l’obiettivo ultimo del testo letterario, ma diviene parte integrante di una realtà planetaria complessa e attraversata da guerre, ingiustizie sociali, squilibri economici e rischi ambientali. Nella raccolta pubblicata in italiano da ADD Editore, con la traduzione di Silvia Pozzi, il fantastico, il sociale, il poetico e il tecnologico si intrecciano dando vita a uno stile originale, definito “realismo fantascientifico”, una science-fiction leggera, soft (come vuole la definizione), ma anche pregna di riflessioni filosofiche.

Letture consigliate

Schneider-Vielsäcker, Frederike. 2017. “An Ideal Chinese Society? Future China from the Perspective of Female Science Fiction Writer Hao Jingfang.” Monde Chinois nos. 51-52: 50-62.

Interviste

Simone Pieranni, “No time, no space. I dispositivi di disuguaglianza di Hao Jingfang”: Intervista alla scrittrice cinese Hao Jingfang, autrice di Pechino Pieghevole (Add Editore): metropoli, tempo, spazio e identità cinese”, 17 ottobre 2020 https://ilmanifesto.it/no-time-no-space-intervista-alla-scrittrice-cinese-di-sci-fi-hao-jingfang/

Deborah Stanish, “Interview: Hao Jingfang” trad. di Ken Liu, 2015

Ma Jian 马建                                   

Ma Jian nasce a Qingdao, nella provincia dello Shandong, nel 1953. Prima di dedicarsi alla scrittura, lavora come riparatore di orologi e come pittore di poster e fotografo presso il Dipartimento di propaganda della Federazione dei sindacati cinesi. All’età di trent’anni, Ma Jian – successivamente alla separazione dalla moglie e ad una presa di coscienza graduale ma irreversibile rispetto all’arroganza della burocrazia del Dipartimento – sceglie di abbandonare il lavoro e intraprende un viaggio di tre anni in Cina, un viaggio che gli fornisce l’ispirazione per le sue prime pubblicazioni e che segna l’avvio della sua carriera di scrittore. La scelta di dedicarsi alla scrittura sin da subito coincide con la condanna dell’autore da parte delle autorità del governo cinese, l’esilio a Hong Kong (allora colonia britannica) nel 1986 e infine la messa al bando delle sue opere. Nello specifico, l’opera che gli costa la condanna del governo è Tira fuori la lingua (Liangchu ni de shetai huo kongkong dangdang 亮出你的舌苔或空空荡荡, 1987), una “meditazione narrativa sul Tibet” tradotta in inglese nel 2006 e in italiano (Katia Bagnoli) per la casa editrice Feltrinelli nel 2008. Concepito poco dopo il viaggio in Tibet, Tira fuori la lingua mette a nudo gli aspetti spirituali e violenti – se non disumani – della terra tibetana, dipingendone un’immagine cruda ed estremamente distante dalla realtà tibetana edulcorata al centro del discorso dominante cinese. Il governo di Pechino definisce pertanto il romanzo come “un libro volgare e osceno che diffama l’immagine dei nostri compatrioti tibetani” e frutto dell’immaginazione perversa dell’autore. Il viaggio in Cina di Ma Jian costituisce anche l’oggetto del romanzo autobiografico Polvere rossa (Hongchen 红尘), pubblicato nel 2002 dalla casa editrice Neri Pozza. L’opera narra l’avventura di tre anni dell’autore a partire da Urumqi, descrivendo i grandi deserti, i laghi e i fiumi, le montagne sacre ai confini con il Tibet, le città e i villaggi che contraddistinguono la straordinaria varietà del territorio cinese.

Successivamente alla messa al bando delle sue opere, a Ma Jian viene definitivamente proibito di pubblicare in Cina e, in seguito alla restituzione di Hong Kong alla Repubblica Popolare cinese, l’autore nel 1997 si trasferisce in Europa, prima in Germania e successivamente a Londra, dove risiede tutt’ora assieme alla moglie Flora Drew. L’allontanamento definitivo di Ma Jian rispetto alla madrepatria e la conseguente necessità di rivolgersi a un pubblico di lettori prevalentemente stranieri fanno sì che egli sia annoverato fra gli scrittori della “diaspora” e della cosiddetta “letteratura dell’esilio” (liuwang wenxue 流亡文学).

Nonostante le opere di Ma Jian non possano circolare in territorio cinese, l’autore mantiene un forte legame con la Cina e con la sua lingua: l’autore decide apertamente di consolarsi con la bellezza della sua lingua madre, l’unica con cui si ritiene in grado di “estrarre ricordi dalla nebbia dell’amnesia imposta dallo stato”, e affida la traduzione in lingua inglese alla moglie.

Oltre a Tira fuori la lingua e Polvere rossa, Ma Jian ha pubblicato altri quattro romanzi. Spaghetti cinesi (Lamian zhe 拉面者, 1992) è un romanzo a episodi scritto sotto falso nome, tradotto in italiano dal cinese da Nicoletta Pesaro e pubblicato in Italia per Feltrinelli nel 2004. L’opera si presenta come un “dipinto corale” e si fa foriera di un’aperta denuncia nei confronti del maoismo e delle riforme di apertura di Deng Xiaoping: i nove racconti che compongono l’opera sono volti a definire una Cina travolta dalle novità apportate dalle riforme, ma allo stesso tempo ancora poco matura per poterle affrontare e memore della tragedia del passato maoista. Pechino è in coma (Beijing zhiwuren北京植物人, 2008), romanzo tradotto in italiano dall’inglese da Katia Bagnoli e pubblicato da Feltrinelli nel 2009, riconferma lo status di “scrittore dissidente” di Ma Jian, il quale sceglie di trattare il delicato tema del massacro di piazza Tian’an men attraverso la storia del protagonista Dai Wei, costretto a letto a causa di un proiettile che lo ha colpito alla sua testa durante la protesta del 1989 e condannato all’arresto da parte della polizia in attesa del suo risveglio. L’opera successiva è La via oscura (Yin zhi dao 隐之道, 2012). Tradotto dall’inglese in italiano da Katia Bagnoli e pubblicato da Feltrinelli nel 2015, il romanzo costituisce una potente critica delle politiche di controllo delle nascite e delle forme di oppressione fisica e psicologica inflitte dal potere politico, economico e culturale nei confronti delle donne cinesi. A incarnare le istanze di queste ultime è la protagonista Meili, una donna incinta di un secondo figlio e costretta alla fuga a causa delle politiche di contenimento delle nascite assieme al marito, Kongzi, discendente di Confucio e determinato ad avere dalla propria moglie un erede maschio, nonostante i due abbiano già una figlia. L’ultimo romanzo di Ma Jian è Il sogno cinese (Zhongguo meng 中国梦, 2018), la cui traduzione italiana ad opera di Katia Bagnoli è stata pubblicata da Feltrinelli del 2021. Si tratta di un’opera distopica che si propone come una spietata satira del “sogno cinese di ringiovanimento nazionale” – programma annunciato da Xi Jinping nel 2012 – e della burocrazia cinese.

Una breve rassegna delle tematiche affrontate dalle opere di Ma Jian è sufficiente a evidenziare l’impegno politico di un autore dissidente, il quale sceglie di portare avanti la sua denuncia anche a costo di allontanarsi dalla madrepatria. L’autore sceglie di non cedere né alla “narrativa di compromesso” né all’autocensura, frequente fra gli scrittori della Repubblica popolare, ma mantiene un legame viscerale fra la sua “coscienza nomadica” e la sua madrelingua, la quale continua a costituire il mezzo più efficace per dar voce alla propria critica e l’elemento fondamentale della sua identità culturale e linguistica.

Opere tradotte in italiano

Polvere rossa, trad. di M. Morzenti, Venezia, Neri Pozza, 2002.

Spaghetti cinesi, trad. di N. Pesaro, Milano, Feltrinelli, 2006.

Tira fuori la lingua, trad di K. Bagnoli, Milano, Feltrinelli, 2008.

Pechino è in coma, trad. di K. Bagnoli, Milano, Feltrinelli, 2009.

La via oscura, trad. di K. Bagnoli, Milano, Feltrinelli, 2015.

Il sogno cinese, trad. di K. Bagnoli, Milano, Feltrinelli, 2021.

Critica e recensioni

Aw, Tash. “The Dark Road by Ma Jian – Review”, The Guardian, 2013, https://www.theguardian.com/books/2013/may/02/dark-road-ma-jian-review

Codeluppi, Martina. “Escaping Bodies on the Dark Roads of China: Space and Displacement in Ma Jian’s Yin zhi dao.” In Viaggi e scritture/Viajes y escrituras: Cartografías de la violencia, a cura di Nicoletta Pesaro e Alice Favaro. Paris, Colloquia, 2019. 125-143.

Codeluppi, Martina. Inner and Outer Resistance to China: The Pursuit of Freedom in A Free Life and The Dark Road. TRANS, vol. 20, 2016.

Kong, Belinda. “The Biopolitical Square: Ma Jian’s Beijing Coma.” Tiananmen Fictions Outside the Square. The Chinese Literary Diaspora and the Politics of Global Future. Ed. Belinda Kong. Philadelphia: Temple University Press (2012): 184-236.

Pesaro, Nicoletta. “Between the Transnational and the Translational: Language, Identity, and Authorship in Ma Jian’s Novels.” Cadernos de Tradução 38, 1 (2018): 106–26.

Pesaro, Nicoletta. “Authorship, Ideology, and Translation: the Case of Ma Jian.” The Ways of Translation: Constraints and Liberties in Translating Chinese. Ed. Nicoletta Pesaro. Venezia: Cafoscarina, 2013.

Pesaro, Nicoletta. “Ma Jian, Bambini negati lungo lo Yangtze (Ma Jian, Denied Babies along the Yangtze).” Il Manifesto, Marzo 29, 2015. http://ilmanifesto.info/ma-jian-bambini-negati-lungo-lo-yangtze/.

Interviste

Ma Jian: ‘Freedom can’t be taken for granted. We have to remain constantly vigilant’, Interview by Claire Armitstead https://www.theguardian.com/books/2018/nov/02/ma-jian-interview-exiled-chinese-writer-free-speech-dissidents-novel

An exclusive interview with Ma Jian, author of The Dark Road https://www.foyles.co.uk/ma-jian

‘Truth Is Under Threat.’ Ten Questions for Chinese Dissident Author Ma Jian https://time.com/5572143/ma-jian-china-dream-novel-author/

a cura di Martina Meniconi

Medoruma Shun 目取真俊(ottobre 2021)

Tra i più innovativi scrittori okinawani contemporanei, Medoruma Shun è noto al pubblico giapponese ed internazionale per racconti e romanzi che descrivono gli effetti della seconda guerra mondiale e dell’occupazione statunitense sulla vita degli abitanti della sua terra natale, la prefettura più meridionale del Giappone. Medoruma declina queste tematiche in uno stile che unisce descrizioni vivide e sensoriali a suggestioni surreali o fantastiche, ma sempre mantenendo uno stretto legame con la realtà storica, come attesta anche il costante impegno dell’autore nelle battaglie contro il revisionismo storico e la militarizzazione della prefettura.

Nato nel 1960 a Nakijin, nel nord-ovest dell’isola di Okinawa, già nei primi anni ’80 Medoruma comincia a farsi notare nei circoli letterali con racconti come 「魚群記」 Gyogunki (“Cronache di un banco di pesci”, Ryūkyū Shimpō 1983), che gli vale il premio della testata giornalistica locale Ryūkyū Shimpō, ma è solo nel 1997 che raggiunge la fama a livello nazionale vincendo il prestigioso premio Akutagawa per 「水滴」Suiteki (Gocce d’acqua, or. Bungeishunjū 1997).

Il successivo 「魂込め」Mabuigumi (Mabuigumi – Il ritrovamento dell’anima perduta, or. Asahi Shimbunsha 1998) gli è valso nel 2000 i premi dedicati a Kawabata Yasunari e Kiyama Shōhei, mentre la sceneggiatura di 「風音 The Crying Wind」Fūon – The Crying Wind, lungometraggio tratto dall’omonimo Fūon (Il mormorio del vento, or. Okinawa Times 1986), un’opera più volte rielaborata dall’autore in forma di racconto e romanzo, ha conquistato l’Innovation Prize al Montreal Film Festival del 2004.

La vittoria del premio Akutagawa permette a Medoruma di raggiungere un pubblico molto più ampio tramite ristampe e nuove pubblicazioni a cura di case editrici di rilevanza nazionale come Asahi Shimbunsha e Kage Shobō, affermandolo come uno degli autori okinawani più influenti nel panorama nazionale e attirando l’attenzione del pubblico internazionale. Infatti, malgrado le opere di Medoruma siano fortemente radicate nel contesto okinawano e presentino spesso una mescolanza di forme del dialetto locale con la lingua giapponese – aspetti che senza dubbio ne ostacolano la diffusione al di fuori della prefettura – nell’ultimo ventennio si sono susseguite le edizioni straniere.

Tra le numerosissime traduzioni in inglese (perlopiù in antologia) va citato In the Woods of Memory (trad. Takuma Sminkey, Stone Bridge Press 2017), il primo romanzo di un autore okinawano pubblicato come volume singolo negli USA. Si tratta della traduzione di 「目の奥の森」Me no oku no mori (“La foresta in fondo agli occhi”, Kage Shobō 2009), un romanzo corale incentrato sulle ramificazioni di una violenza su una comunità di villaggio. Tra le altre lingue europee figurano traduzioni in francese, come dimostrano le due recenti edizioni delle raccolte contenenti Mabuigumi e Fūon ad opera di Éditions Zulma, e finalmente anche in italiano, con Gocce d’acqua e altri racconti (trad. Giuseppe Pappalardo, Atmosphere Libri 2021), la prima raccolta di opere dell’autore edita in Italia.

A dispetto della notorietà, Medoruma conduce una vita riservata lontano dai circoli letterari, si fa chiamare unicamente con il suo pseudonimo letterario, compare solo raramente in fotografia, spesso in occhiali da sole, e rilascia poche interviste: è singolare in questo senso che la prima lunga video-intervista concessa all’emittente pubblica NHK sia solo dell’agosto 2021. Anche qualora l’autore sveli dettagli della propria vita privata, ciò è determinato dalla precisa scelta di condividere le esperienze personali e familiari che orientano la sua opera letteraria e il suo attivismo sociale, come risulta evidente dal suo saggio 『沖縄「戦後」ゼロ年』Okinawa ‘sengo’ zero-nen (“L’anno zero del dopoguerra a Okinawa”, Nippon Hōsō Shuppan Kyōkai 2005).

L’autore è stato paragonato a intellettuali come Ōe Kenzaburō e Nakagami Kenji per l’abilità con cui coniuga la sua carriera letteraria con l’attivismo politico e la critica sociale, portati avanti in una varietà di media tra cui saggi, articoli di giornale e il suo blog personale. Nelle vesti di “intellettuale pubblico”, Medoruma indaga la realtà okinawana contemporanea senza fare prigionieri, con uno sguardo che parte dal basso – dai bambini, dai reietti, dalle vittime – per esplorare i conflitti e il disagio socio-economico della prefettura più povera del Giappone, nonché quella con la più massiccia presenza di basi militari americane, circa il settanta per cento dell’intero stato.

È proprio questo uno dei temi centrali dell’opera (di fiction e non) dell’autore, e che contraddistingue per esempio il breve e scandaloso 「希望」Kibō (“Speranza”, Asahi Shimbun 1999), racconto in cui un anonimo personaggio okinawano rapisce e uccide il bambino di un soldato americano in segno di protesta per le basi militari, prima di autoimmolarsi dandosi fuoco. In questa opera, come nel più recente romanzo 「虹の鳥」Niji no tori (“L’uccello arcobaleno”, Kage Shobō 2006), Medoruma grida la disperazione della sua terra natale, sacrificata dal Giappone prima al secondo conflitto mondiale e poi all’occupazione statunitense, riflettendo sulle dinamiche di violenza che caratterizzano la quotidianità di un’occupazione militare mai veramente conclusa e sull’impossibilità delle proteste pacifiche degli okinawani di ottenere risultati tangibili.

Ma ad aver portato questo autore alla ribalta è senz’altro la narrativa incentrata sui ricordi traumatici bellici, la quale rappresenta circa un terzo della sua intera produzione letteraria. Attingendo alle esperienze dei familiari e a un’intima conoscenza dei luoghi della battaglia di Okinawa, il sanguinoso scontro che nel 1945 ha decimato gli abitanti della prefettura, Medoruma sonda l’interiorità dei sopravvissuti dando vita a personaggi che restituiscono profondità al modello semplicistico dell’okinawano come vittima innocente del conflitto. Infatti in queste opere – prime fra tutte SuitekiMabuigumi e Fūon, raccolte in Gocce d’acqua e altri racconti – l’autore dà voce a ricordi taciuti per dolore o vergogna, fornendo al lettore un ritratto complesso e contradditorio di personaggi al contempo fragili e prevaricatori. A un’indagine psicologica realistica si accompagna una prosa suggestiva, che sovente ricorre anche ad elementi della tradizione culturale e religiosa (accostati dalla critica al reale meraviglioso di Gabriel García Márquez) per innescare il ritorno dei ricordi alla mente dei personaggi.

Il merito di Medoruma Shun non va tuttavia ricercato soltanto nella sapiente rappresentazione di un passato scomodo che rischia l’oblio, che di per sé basterebbe a distinguerlo dagli altri narratori okinawani del conflitto: Medoruma affronta apertamente le ombre del passato mostrando come queste si allunghino sul presente e sfidando il lettore ad aprire altre vie per il futuro.

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Bibliografia scelta delle opere tradotte

Critica e approfondimenti

  • Davinder L. Bhowmik, “Fractious Memories in Medoruma Shun’s Tales of War”, in The Asia-Pacific Journal | Japan Focus 10, 38, n. 3 2012 [disponibile su https://apjjf.org/2012/10/38/Davinder-Bhowmik/3830/article.html]
  • Kyle Ikeda, “Geographically-Proximate Postmemory: Sites of War and the Enabling of Vicarious Narration in Medoruma Shun’s Fiction”, in International Journal of Okinawan Studies 3, n. 2, 2012, 37-60 [disponibile su http://ir.lib.u-ryukyu.ac.jp/bitstream/20.500.12000/34185/1/Vol3No2p37.pdf]
  • Michael Molasky, “Medoruma Shun. The Writer as Public Intellectual in Okinawa Today”, in Laura Hein e Mark Selden (a cura di), Islands of Discontent. Okinawan Responses to Japanese and American Power, Rowman & Littlefield, Lanham (MD) 2003, 161-91.

Sitografia in giapponese

(A cura di Sofia Spangaro)

Ogawa Yōko 小川洋子(dicembre 2020)

Ogawa è un’autrice estremamente prolifica e senza ombra di dubbio le sue opere sono fra le più tradotte e lette all’estero nel panorama della letteratura giapponese contemporanea. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti in Giappone, a partire dai prestigiosi premi Akutagawa  (1990, Ninshin karendaa)[1]e Yomiuri (2004, Hakase no aishita sūshikii)[2]Hisoyaka na kesshō(“Cristallizzazione segreta”, libro del 1994 tradotto in italiano nel 2018 con il titolo L’isola dei senza memoria)[3]ha avuto particolarmente successo negli Stati Uniti, dov’è stato tradotto[4]nel 2019 e nel 2020 ha vinto l’American Book Award, è stato inserito tra i 100 libri dell’anno New York Timesed è stato nominato per l’International Booker Prize.


È molto nota in Francia, dove la casa editrice Actes Sud pubblica sistematicamente tutti i suoi romanzi (che arrivano a vendere in media 50000 copie a ogni uscita…).

Sulle numerose recensioni che accompagnano l’uscita dei suoi nuovi romanzi su giornali e riviste di tutto il mondo, è spesso accomunata a Murakami Haruki, sia sul piano della notorietà internazionale sia su quello della scrittura: così come avviene nelle opere del più conosciuto autore giapponese vivente, il suo stile è essenziale e le sue trame risultano prive di riferimenti culturalmente collocabili, sospese in dimensioni che oscillano tra quotidianità disturbate e distopie normalizzate. Ogawa appartiene in effetti a una generazione successiva a quella di Murakami, che lei considera una delle sue fonti d’ispirazione; è infatti nata all’inizio degli anni 1960 e si è iscritta all’Università Waseda di Tokyo una decina d’anni dopo quello che lei considera uno dei suoi massimi riferimenti letterari (insieme ad autori del calibro di Oe Kenzaburo e Kanai Mieko). Con Murakami condivide anche la passione per la letteratura americana: l’incontro ai tempi dell’università con lo studioso e traduttore Shibata Motoyuki influenza il suo interesse per autori come Paul Auster – di cui tende a imitare lo stile di “spoken literature” – ma anche Truman Capote e Raymond Carver.

Come Ogawa stessa ripete in varie interviste, l’incontro che sul piano letterario si rivela decisivo per l’inizio della sua carriera di scrittrice è però quello con Il diario di Anna Frank: i temi della memoria e della natura oppressiva del contesto sociale declinati con diversi accenti nelle storie di protagonisti in diversi modi “imprigionati”, ritornano in varie opere, come omaggio e rielaborazione di quanto raccontato nel celebre Diario.


[1] “Diario di una gravidanza”, trad. in italiano nella raccolta La casa della luce (trad. M. De Petra), Il Saggiatore, 2006.

[2] La formula del professore, trad. di Mimma De Petra, Il Saggiatore, Milano, 2008.

[3] L’isola dei senza memoria, trad. di L. Testaverde, Il Saggiatore, Milano, 2018.

[4] The Memory Police,trad. di S. Snyder, Pantheon Books, 2019.

  • Link interessanti su L’isola dei senza memoria e dintorni:

Un articolo che parte da “Hisoyaka na kesshō” per esplorare alcune tematiche molto ricorrenti nell’opera di Ogawa:

https://www.nippon.com/en/people/bg900133/writer-ogawa-yoko%E2%80%99s-stories-of-memory-and-loss.html

Un’intervista all’autrice realizzata da NHK sui temi del libro:
https://www3.nhk.or.jp/nhkworld/en/ondemand/video/2058683/

La pagina dedicata sul sito dell’International Booker Prize a cui la traduzione inglese del libro (col titolo “The Memory Police”) è stata candidata nel 2020 (con breve lettura e commento dell’opera da parte dell’autrice e commento del traduttore inglese):
https://thebookerprizes.com/books/memory-police-by-yoko-ogawa 

Un’intervista dell’autrice al Corriere della Sera:
https://27esimaora.corriere.it/18_aprile_27/yoko-ogawa-perche-non-possibile-far-scomparire-bellezza-d8a11650-4a1d-11e8-a30a-134b88b5afda.shtml

Un breve saggio di Laura Testaverde sul romanzo e la rassegna stampa de il Saggiatore:
https://www.ilsaggiatore.com/editoriale/il-senso-della-memoria/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/lisola-dei-senza-memoria/

Shūichi Yoshida 吉田修一 (aprile 2021)

Yoshida Shūichi nasce a Nagasaki nel 1968. Dopo la laurea in Economia alla Hōsei University di Tokyo si dedica alla scrittura, dando il via a una ricca produzione che ad oggi annovera numerosi romanzi e racconti. La sua attività di scrittore inizia ufficialmente nel 1997 con la pubblicazione del racconto “Saigo no Musuko” (「最後の息子」, “L’ultimo figlio”, 1997), che gli è valso nello stesso anno l’attribuzione del prestigioso premio Bungakukai per gli scrittori esordienti.

Con il suo primo romanzo, invece, lo scrittore si aggiudica nel 2002 il premio Yamamoto Shūgorō: si tratta di Parēdo(『パレード』, “Parata”), tradotto in italiano da Gala Maria Follaco con il titolo Appartamento 401(Feltrinelli, 2019)I protagonisti del romanzo, che si potrebbe definire un thriller psicologico, sono cinque ragazzi appena ventenni che si ritrovano a vivere insieme in un appartamento di Tokyo. Lo sguardo dell’autore si focalizza sulla vita alienante della metropoli e dà voce ai singoli personaggi nelle cui vite si riflettono le problematiche della società giapponese contemporanea. L’opera ha un ottimo successo di pubblico e attira l’attenzione anche del regista Yukisada Isao che nel 2009 ne firma la trasposizione cinematografica, presentata alla sessantesima edizione del Festival di Berlino dove si aggiudica il premio Fipresci.

Nel 2002 Yoshida pubblica il racconto Paaku raifu(『パーク・ライフ』, “Park life”) e vince il più importante riconoscimento letterario giapponese, il premio Akutagawa, per cui era già stato candidato in passato. 

Fra i riconoscimenti ottenuti dallo scrittore è impossibile non menzionare i due importanti premi rcevuti per Akunin (『悪人』, “Il malvagio”, 2007; trad. it. di G.M. Follaco, L’uomo che voleva uccidermi, Feltrinelli, 2017), uno dei suoi romanzi più noti all’estero: il premio Osaragi Jiro e il Mainichi Shuppan Bunkashō (Mainichi Publishing Culture Award). La storia segue le indagini volte a scoprire l’identità dell’assassino della giovane Ishibashi Yoshino, e ancora una volta lo sfondo urbano alienante e desolato fa da contrappunto alle vite dei vari personaggi coinvolti nella vicenda. Anche quest’opera è stata adattata per il cinema in seguito al suo grande successo; la trasposizione ad opera del regista Lee Sang-il, distribuito internazionalmente con il titolo di Villain, esce nelle sale giapponesi nel 2010 e riceve numerose candidature ai Japanese Academy Price del 2011, vincendone cinque. La traduzione inglese del romanzo è stata inoltre nominata per l’Independent Foreign Fiction Prize nel Regno Unito.

Tematiche

Solitudine, problemi relazionali, difficoltà nell’esprimere se stessi: questi possono essere definiti i veri protagonisti della narrativa di Yoshida Shūichi, tematiche che troviamo nei due romanzi tradotti in italiano da Gala Maria Follaco, Appartamento 401(『パレード』) e L’uomo che voleva uccidermi(『悪人』). In entrambi i casi, i personaggi principali sono giovani che soffrono di una forte alienazione dalla realtà e dalla società in cui sono immersi. La violenza mentale e fisica sembra essere l’unica valvola di sfogo per questi ragazzi che faticano a esternare i propri sentimenti ed emozioni, ma soprattutto a trovare la propria identità in una società che obbliga a essere omologati. Le pagine di Yoshida Shūichi trasudano la sofferenza dei giovani protagonisti, quasi ad urlare al lettore la loro voglia di essere ascoltati e compresi. 

Questo forte desiderio di accettazione, la costante ricerca di affetto e felicità possono esser letti nel continuo stato di inquietudine che vive Shimizu Yuichi, il protagonista de L’uomo che voleva uccidermi. Il ragazzo cerca un legame femminile a causa dell’assenza di una figura materna nella sua infanzia. I demoni che lo tormentano, però, porteranno il protagonista a isolarsi creando una solitudine interiore pericolosa. Un degrado morale talmente profondo da oscurare la connessione con la realtà. Una generazione sola, infelice, capace di provare emozioni solo se portate agli estremi, contrapposta dall’autore alla vecchia generazione basata su valori di comunità molto diversi.

Nella realtà di Yoshida Shūichi si è tutti connessi, ma allo stesso tempo soli e isolati. Gli incontri online e una comunicazione via chat rendono i rapporti umani lontani e difficili da instaurare. Le tematiche proposte dall’autore sono più che mai attuali e non limitate alla realtà sociale giapponese contemporanea: la mancanza di comunicazione e la paura di non essere accettati sono indubbiamente problematiche globali.

I cinque ragazzi protagonisti di Appartamento 401incarnano alla perfezione tali temi ricorrenti: nonostante questi giovani condividano lo stesso appartamento, le loro sono vite separate, la comunicazione è minima tanto da trascinarli in un tunnel di menzogne e bugie. Tutti indossano una maschera per non esternare la propria vera personalità. Le loro figure appaiono simili a quelle di piccole formiche perse nella megalopoli di Tokyo, una città dalle mille possibilità, ma allo stesso tempo un labirinto dove perdersi e sentirsi sempre più soli. Il lettore si trova all’interno di un romanzo corale alle prese con i tormenti interiori di ragazzi incapaci di relazionarsi e di affrontare i problemi della crescita. Chiusi all’interno di un minuscolo appartamento vivono drammi, piccole felicità e prese di consapevolezza cercando di costruire la propria identità. Estraniati da una società contemporanea cieca di fronte alle loro difficoltà, si ritrovano costretti in una gabbia sociale in cui è complicato essere se stessi senza venir giudicati, giovani abbandonati al loro silenzio.

L’atmosfera cupa e il senso di perdita vengono evidenziati dalla scelta dell’autore di inquadrare i propri romanzi nel genere noir. Si ha come la sensazione di essere avvolti da una nebbia di inquietudine attraverso cui filtra poca luce dall’esterno che possa servire da guida per uscire dal labirinto in cui i protagonisti sono costretti. L’autore lascia difatti intravedere poche speranze per un riscatto dei suoi personaggi: nelle sue storie non vengono fornite vie d’uscita consolatorie, la realtà deve essere accettata così come viene presentata. 

Non sorprende che Yoshida Shūichi sia stato in più occasioni definito dalla critica internazionale come la voce dei nuovi giovani, capace di portare alla luce il senso di decadenza, alienazione urbana e interiore delle generazioni contemporanee. Si tratta dunque di un autore che ben è riuscito a dipingere una situazione sociale problematica attraverso uno sguardo lucido e penetrante, capace di conquistare un pubblico internazionale pur scavando a fondo nelle dinamiche della società giapponese contemporanea.

Bibliografia

Opere tradotte in italiano

  • L’uomo che voleva uccidermi, trad. di Gala Maria Follaco, Milano, Feltrinelli, 2017

Titolo originale: Akunin (『悪人』, 2007)

  • Appartamento 401, trad. di Gala Maria Follaco, Milano, Feltrinelli, 2019

Titolo originale:Parēdo (『パレード』, 2002)

Critica e recensioni:

Approfondimenti:

  • Matsuzaki, Hiroko. “The Complex Feelings of Different Japanese Generations toward Taiwan in Yoshida Shūichi’s Road”. Electronic journal of contemporary Japanese studies18-3 (December 2018)

http://www.japanesestudies.org.uk/ejcjs/vol18/iss3/matsuzaki.html

Altro materiale:

  • Sito ufficiale giapponese 

http://yoshidashuichi.com/index.html

  • Sito relativo al Premio Fipresci (Festival di Berlino) 

(a cura di Sara Cinquefiori e Claudia Zancan)

Yan Lianke 阎连科 (novembre 2020)

Nato nella provincia dello Henan nel 1958 da una famiglia povera e di illetterati, Yan Lianke si è arruolato nell’esercito nel 1978 e ha iniziato la sua carriera letteraria militando come scrittore presso l’ufficio della propaganda, conseguendo poi una doppia laurea: in scienze politiche (Henan daxue, 1985) e quindi in letteratura (Jiefang jun yishu xueyuan, 1991). Nel 1992 Yan Lianke ha abbandonato l’esercito per entrare a far parte dell’Associazione degli scrittori cinesi e per dedicarsi completamente alla letteratura, iniziando a guadagnare notorietà dal 1997 con la pubblicazione della novella Le grotte d’oro, Huangjin dong 黄金洞 e con il romanzo Gli anni, i mesi, i giorni, Nian yue ri 年月日, grazie ai quali ha vinto il Premio Lu Xun. A partire dagli anni Duemila ha iniziato ad essere riconosciuto a livello internazionale grazie al successo del romanzo Il Sogno del Villaggio dei Ding, bandito in Cina continentale insieme ad altre sue opere ritenute piuttosto “delicate e politicamente sensibili”. 

Gran parte della sua narrativa, che è stata categorizzata con il termine di “mito-realismo” 神实主义 per via dell’intreccio tra il realistico, il fantastico, il satirico e il ricorso all’eredità del realismo-magico latinoamericano di Márquez, è dedicata prevalentemente alle dinamiche del mondo rurale cinese, alla misera realtà delle campagne e alle sofferenze dei contadini: le tematiche affrontate, per lo più spietate e agghiaccianti, ma a volte anche profondamente ironiche, sono risultate ripetutamente “destabilizzanti” agli occhi del Partito che ha operato una sistematica censura degli scritti di Yan Lianke, la cui “vena dissidente” ha inevitabilmente contribuito a renderlo uno scrittore professionista di fama mondiale.

Oltre alla raccolta di racconti Il podestà Liu e altri racconti, Liu xiangzhang ji qita duanpian xiaoshuo 柳乡长及其他短篇小说 (composta tra il 2001 e il 2010), Yan Lianke ha pubblicato 12 romanzi: Gli anni, i mesi, i giorni, Nian yue ri 年月日 (1997), Il tempo che fugge, Riguang liunian 日光流年 (2001), Duro come l’acqua, Jianying ru shui 坚硬如水 (2001), La gioia di vivere, Shouhuo 受活 (2004), con cui ha ottenuto il Premio Lao She, Servire il popolo, Wei renmin fuwu 为人民服务 (2005), Il Sogno del Villaggio dei Ding, Dingzhuang meng 丁庄梦 (2006), Arie, inni, odi, Feng Ya Song 风雅颂 (2008), Pensando a mio padre, Wo yu fubei 我与父辈 (2008), con cui si è aggiudicato il The Best Ten Books Award, Tre fratelli, San ge xiongdi 三个兄弟 (2009), I quattro libri, Sishu 四书 (2011), Cronache dell’esplosione, Zhalie zhi 炸裂志 (2013) e Il giorno in cui morì il sole, Ri xi 日熄 (2016). Di tali opere solo alcune sono state tradotte e rese disponibili in italiano: Servire il popolo (Einaudi, 2006), Il Sogno del Villaggio dei Ding (Nottetempo, 2011), Pensando a mio padre (Nottetempo, 2013), Il podestà Liu e altri racconti (Atmosphere, 2017), I quattro libri (Nottetempo, 2018) e Gli anni, i mesi, i giorni (Nottetempo, 2019).

Sin da quando Yan Lianke si è accostato alla narrativa, i suoi romanzi si sono rivelati, a detta dei critici, “sempre più acuti e capaci di generare scandalo” a causa delle loro tematiche “scabrose e taglienti”: dall’AIDS diffusasi tra i contadini dei villaggi rurali cinesi a causa di una disastrosa campagna promossa dal governo per la vendita e donazione di sangue, alla satira contro i simboli comunisti e l’idolatria di Mao, fino a una rappresentazione del dramma e delle vicissitudini del Grande Balzo in Avanti, lo scenario prescelto è spesso la campagna e i paradossi che da secoli la attraversano, le sofferenze e le energie che si celano dietro una realtà immensa e complessa, capace di rappresentare, spesso più della Cina urbana, le grandi contraddizioni della società cinese contemporanea.

Considerato da parte della critica cinese uno degli scrittori più interessanti e maturi del panorama odierno, ma da altri contestato per le tematiche prescelte, è noto all’estero e tradotto in diverse lingue. Yan Lianke viene così presentato da Chen Xiaoming, professore di Beida ed eminente critico letterario, in riferimento a Shouhuo:

il significato imprescindibile di quest’opera di Yan Lianke giace nel fatto che lo scrittore sta compiendo ciò che per lungo tempo la letteratura cinese contemporanea non ha osato e neppure immaginato di poter fare: infrangere il modello fisso di rappresentazione della Cina rurale; nel preservare le caratteristiche native della Cina rurale Yan utilizza al massimo delle sue possibilità il metodo espressivo postmoderno, creando un effetto estetico di tipo postmoderno.

(Chen Xiaoming 陈晓明, Zhongguo dangdai wenxue zhuchao 中国当代文学主潮, Beijing, Beijing daxue chubanshe, 2009, p. 594)

In Shouhuo (La gioia di vivere) un intraprendente dirigente locale tenta di modernizzare un remoto e bizzarro villaggio (chiamato appunto Shuohuo), “incontaminato” dalle traversie delle campagne maoiste e dalle riforme denghiane: l’idea del funzionario è trasformare il villaggio in un luogo turistico per mezzo dell’acquisto della salma di Lenin dalla Russia; tuttavia, per mettere da parte il denaro, il funzionario decide, paradossalmente, di inscenare spettacoli da parte degli stessi disabili che vivono nel villaggio, le cui menomazioni e invalidità vengono sfruttate per attirare i visitatori e per indirizzarsi verso una macabra traiettoria capitalistica.

Analogamente, Il Sogno del Villaggio dei Ding è forse il romanzo di Yan Lianke che più ha suscitato dibattiti e polemiche, attirando l’interesse degli ambienti accademici, del Partito e dei giornalisti stranieri per la sua capacità di affrontare argomenti scottanti e spesso sottaciuti. Difatti, il successo del romanzo, “carico” a livello mito-realistico, risiede nella testimonianza della disastrosa epidemia di AIDS verificatasi negli anni Novanta in alcuni villaggi dello Henan all’indomani della promozione da parte del governo centrale di malsane campagne di vendita del sangue.

Una satira politica maggiormente accentuata è riscontrabile nel romanzo Servire il popolo, in cui i protagonisti sono un colonnello dell’esercito e il suo attendente: tra i due si crea un legame morboso, e l’attendente diviene l’amante della moglie del suo superiore. Nella narrazione, la figura di Mao è evocata continuamente in un contesto sardonico che mette in ridicolo la disciplina “filiale” e l’obbedienza con cui l’attendente si prende cura della casa del generale e, soprattutto, di sua moglie, sino al punto di instaurare con ella una relazione libidinosa e squallidamente servile che, metaforicamente, parodia la servile sottomissione da parte delle masse nei confronti di Mao.

Pensando a mio padre, romanzo che è stato spesso definito come “linea di demarcazione” della carriera letteraria di Yan Lianke, è probabilmente quello più intimistico e introspettivo: qui, un flusso di coscienza, dai tratti spirituali e semi-religiosi, si confonde con una parabola discorsiva rivolta al padre, ormai deceduto, di Yan Lianke, con cui lo scrittore tenta di scusarsi per aver abbandonato la famiglia per andare alla ricerca di un futuro migliore nelle città quando era ragazzo. Ma probabilmente, la maestria del romanzo sta nello sfogo personale ed estremamente sentito dell’autore il quale, essendo mancato ai suoi “doveri filiali”, è convinto di essere stato la causa della morte del padre.

I quattro libri, il cui titolo “meno poetico” non allontana affatto la narrazione dalla “retorica del dolore” di Yan Lianke, fa riflettere sulla banalità del male che gli uomini sono soliti infliggersi vicendevolmente. La storia è ambientata nella zona 99 di un campo di rieducazione per intellettuali alla fine degli anni Sessanta, durante il Grande balzo in avanti. Attraverso quattro distinte voci, quella del “Bambino” che comanda il campo incoraggiando la violenza e l’arduo lavoro, quella dello “scrittore” e del “filosofo” e quella di un narratore onnisciente, Yan Lianke declina in diverse modalità l’amore, l’amicizia, la fedeltà, il dissenso, la resistenza e la follia umana.

Il podestà Liu e altri racconti è una “raccolta di racconti improbabili”, euforici, surreali e schizofrenici: attraverso il labirintico intreccio di diverse trame, Yan Lianke esagera e “distorce” il pensiero e l’agire umano, sino al punto di svelare gli aspetti più assurdi e paradossali della vita. Questa raccolta, apparentemente fantastica e immaginaria, merita una riflessione più approfondita, dal momento in cui dietro le parole e le azioni dei personaggi di Yan Lianke si nascondono proprio le aberrazioni della Cina contemporanea.

In Gli anni, i mesi, i giorni Yan Lianke offre uno scorcio vivido delle dinamiche psico-culturali del mondo contadino dello Henan per mezzo dell’esplorazione della dura vita di agricoltori abbandonati a sé stessi, alla solitudine e a un destino feroce e sanguinario: il primo racconto, intriso di lirismo, manifesta l’empatia nei confronti di un vecchio e del suo cane nel loro tentativo di tenere in vita una piantina di granturco all’interno di un desolante contesto di carestia.

Anche qui la descrizione delle campagne è pervasiva, come ha sostenuto lo stesso autore:

Lu Xun vedeva nella sua terra natale solo odio e sofferenza; Shen Congwen dell’Hunan occidentale vedeva solo la bellezza infinita; io, ecco, vedo che nella vita non c’è quasi più spazio per la bellezza mentre l’assurdo invade ogni luogo, esso non ti appare davanti agli occhi, ma piuttosto aggredisce i tuoi occhi e la tua anima penetrandoli.

(Yan Lianke,  Wo de xianshi, wo de zhuyi 我的现实,我的主义, Beijing, Zhongguo renmin daxue chubanshe, 2011, p. 23)

Nel secondo racconto l’attenzione si sposta sull’assidua lotta fisico-psicologica di una madre vedova di quattro figli disabili la quale, a livelli estremi, tenta di alterare il destino della sua famiglia. In entrambi i racconti Yan Lianke invita a riflettere su quale ruolo debba ricoprire l’uomo nel mondo e, a partire dall’idea che l’uomo usurpa miserabilmente la natura e “la sua stessa natura”, in questi due racconti l’autore sembra far pagare ai suoi protagonisti le conseguenze delle azioni dell’intera umanità.

Bibliografia

Opere tradotte in italiano

  • Servire il popolo, trad. di Patrizia Liberati, Torino, Einaudi, 2006.
  • Il Sogno del Villaggio dei Ding, trad. di Lucia Regola, Roma, Nottetempo, 2011.
  • Pensando a mio padre, trad. di Lucia Regola, Roma, Nottetempo, 2013.
  • Il podestà Liu e altri racconti, trad. di Marco Fumian, Roma, Atmosphere, 2017.
  • I quattro libri, trad. di Lucia Regola, Milano, Nottetempo, 2018.
  • Gli anni, i mesi, i giorni, trad. di Lucia Regola, Milano, Nottetempo, 2019.

Critica e recensioni

  • Chen, Thomas. “Ridiculing the Golden Age: Subversive Undertones in Yan Lianke’s Happy.” Chinese Literature Today (Winter/Spring 2011): 66-72.
  • Guptak, Suman. “Li Rui, Mo Yan, Yan Lianke, and Lin Bai: Four Contemporary Chinese Writers Interviewed.” Wasafiri 23, 3 (2008): 28-36.
  • Leung, Laifong. “Yan Lianke: A Writer’s Moral Duty.” Chinese Literature Today (Winter/Spring 2011): 73-79.
  • Liu, Jianmei. “Joining the Commune or Withdrawing from the Commune? A Reading of Yan Lianke’s Shouhuo.” Modern Chinese Literature and Culture 19, 2 (Fall 2007): 1-33.
  • Tsai, Chien-hsin. “The Museum of Innocence: The Great Leap Forward and Famine, Yan Lianke, and Four Books.” MCLC Resource Center Publication (May 2011, https://u.osu.edu/mclc/online-series/museum-of-innocence/).
  • —–. “In Sickness or in Health: Yan Lianke and the Writing of Autoimmunity.” Modern Chinese Literature and Culture 23, 1 (Spring 2011): 77-104.
  • Veg, Sebastian. “Yan Lianke, Le Reve du Village des Ding.” China Perspectives 1 (2009, https://journals.openedition.org/chinaperspectives/4793). [English language review of a French translation of Yan’s novel Dream of Ding Village]

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Altri materiali

(a cura di Nicoletta Pesaro e Valentina Consoli)

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